sabato 12 dicembre 2020

 

La creatività non va in lockdown


La pandemia sta modificando, forse irreversibilmente, consuetudini e regole della vita sociale, sta trasformando il mondo del lavoro, sta scuotendo l’economia.

La fotografia è stata il medium che ha mostrato, con più efficacia di altri, quello che stava succedendo, intessendo un racconto collettivo ed individuale senza precedenti. Non era scontato che fosse così.

Il video, al contrario, è stato utilizzato soprattutto come strumento di condivisione e comunicazione, ma non è stato capace di raccontare il quotidiano con altrettanta efficacia della fotografia, forse perché sopraffatto da un rumore di fondo di parole e messaggi contraddittori, concitati e confusi.

Il rumore bianco della comunicazione nell’era dei social.

In questo contesto, in pieno lockdown, incontrarsi era impossibile, figuriamoci realizzare ritratti in studio ed allora, da un giorno all’altro, abbiamo imparato a lavorare su Teams, a organizzare meeting su Zoom, seguire dirette su Instagram e…a fotografare a distanza.

Il “remote shooting” è diventato immediatamente popolare e ci ha permesso di realizzare vere e proprie sessioni fotografiche a distanza, usando fotocamere ed etiche professionali, generando modalità di lavoro completamente nuove. Al soggetto, ad esempio, è stata affidato l’allestimento del set e dell’attrezzatura fotografica, mentre la fotocamera poteva essere impostata e controllata a distanza dal fotografo, attraverso le comuni piattaforme di condivisione.

Scattare in remoto ha reso evidente la centralità e co-autorialità del soggetto fotografato nel processo creativo cosa che, in condizioni di normalità, tende a passare in secondo piano.

 

Lo shooting da cui è tratta questa immagine è stato realizzato in remoto, attraverso la piattaforma Zoom con una fotocamera Sony a7. Modella: @eva_lunia

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